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Massimo Rodolfi -La sfiga non esiste

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Massimo Rodolfi  -La sfiga non esiste-

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Perché la sfiga non esiste? Perché siamo completamente responsabili della nostra esistenza, anche se non ne siamo consapevoli. Quello che voglio ottenere con questo libro è di far un po' più di luce sulla necessità di divenire coscienti di questa responsabilità. Sono anche convinto che diffondere questo punto di vista, e gli strumenti adeguati per comprenderlo, sia la sola via per aiutare l'umanità ad uscire dalla sua condizione di sofferenza. Perché, sarà anche vero che la sfiga non esiste, ma la sofferenza ci riguarda sicuramente tutti. Potendo facilmente accertare questa cosa, ci siamo mai posti veramente il problema di come far cessare le nostre sofferenze ed eventualmente quelle del mondo attorno a noi? Volendo vedere la questione da una prospettiva meno sfigata, quanto gioiamo veramente? Che spazio occupa nella nostra vita la leggerezza, la gioia, la capacità di sorridere e di amare, l'abilità nel realizzare ciò in cui crediamo?

 

 

Introduzione; Capitolo primo - Perché la sfiga non esiste? Un indimostrabile assioma; Capitolo secondo - La teoria gravitazionale del karma; Capitolo terzo - La via di fuga dalla sfiga; Capitolo quarto - I frutti dell'albero che sta in mezzo al Giardino. La vita nel Regno dei Cieli; Conclusioni

Perché la sfiga non esiste? Perché siamo completamente responsabili della nostra esistenza, anche se non ne siamo consapevoli. Quello che voglio ottenere con questo libro è di fare un po’ più di luce sulla necessità di divenire coscienti di questa responsabilità. Sono anche convinto che diffondere questo punto di vista, e gli strumenti adeguati per comprenderlo, sia la sola via per aiutare l’umanità a uscire dalla sua condizione di sofferenza. Perché, sarà anche vero che la sfiga non esiste, ma la sofferenza ci riguarda sicuramente tutti. Potendo facilmente accertare questa cosa, ci siamo mai posti veramente il problema di come far cessare le nostre sofferenze ed eventualmente quelle del mondo attorno a noi?
Volendo vedere la questione da una prospettiva meno sfigata, quanto gioiamo veramente? Che spazio occupano nella nostra vita la leggerezza, la gioia, la capacità di sorridere e di amare, l’abilità nel realizzare ciò in cui crediamo? Quanto abbiamo stabilizzato nella nostra coscienza ananda? Non la Nanda, diminutivo di Fernanda, una cara amica di mia nonna, che abita tuttora in una delle case popolari del mio paese, bensì ananda, in sanscrito la beatitudine. Ma poi, diciamocelo, pensiamo veramente che si possa essere sempre contenti senza essere stupidi? Visto, fra l’altro, che siamo incazzati dalla mattina quando ci alziamo alla notte quando ci addormentiamo... E quanta energia abbiamo dedicato nella nostra vita, consapevolmente, ripeto consapevolmente, alla realizzazione della felicità nostra, delle persone che amiamo e anche di quelle che non amiamo? E chi ci ha mai detto cos’è veramente la felicità? E ammesso che qualcuno ce lo abbia anche detto, che birillo ci abbiamo capito?
La sfiga non esiste. Sì, sì... Questa affermazione potrebbe apparire inverosimile al senso comune, abituato da millenni a considerare come fattore imprescindibile della vita la fortuna, il fato, il destino, la sorte, il caso, la fatalità, la provvidenza, la combinazione, la circostanza, la coincidenza, l’aver finito la benzina, oppure la sfiga. Da sempre, la maggioranza dell’umanità attribuisce alla casualità la realizzazione di una parte consistente degli avvenimenti che la riguardano, e temo che affermare il contrario risulti essere leggermente controcorrente, specialmente qui in Occidente. In Oriente è sicuramente più diffuso il concetto di karma, o legge di causa-effetto, che dovrebbe essere di fondamentale sostegno alla mia affermazione. Però, ad essere onesti, non è che, mediamente, un tassista di Benares, in India, mi sia sembrato tanto più consapevole della responsabilità della sua vita di quanto non lo sia il suo collega di una grande città europea (non me ne vogliano i tassisti, avrebbero potuto essere i salumieri, ma mi è tornato in mente il mio tassista a Benares…). In pratica, cioè, non è che l’adesione natalizia (dovuta ai natali) ad una religione, o ad un sistema di vita piuttosto che ad un altro, cambi sostanzialmente l’atteggiamento oggi possibile da parte della coscienza umana nei confronti della vita.
È poi anche vero che la scienza contemporanea non è in grado di rispondere alla domanda che ci interessa, se la sfiga esista o non esista, suffragandola con i risultati, riproducibili e verificabili, di ripetute analisi di laboratorio. La scienza, d’altronde, ancora si sta interrogando sul fatto che l’universo sia nel caos, anagramma di caso (sfiga?), se tenda o meno all’entropia o all’empochia, a seconda che ci sia troppa materia o troppo poca (forse non era proprio così...). Ma ti pare a te che l’universo debba essere caotico, nato da un caso, e che possa finire o non finire grazie a un qualche accidente? Che anche l’universo debba essere così sfigato? È evidente che, allo stato attuale, la scienza non è in grado di dirimere la vexata quaestio che ci interessa, visto che nei suoi fondamenti ontologico-epistemologici non comprende ancora un adeguato concetto di sfiga, in grado di rassicurarci sulle origini della vita del presente universo, ma soprattutto sulle sue necessità evolutive e sulle sue finalità.
Vista l’inadeguatezza della scienza moderna, ma vista soprattutto la nostra propensione per un empirismo cognitivo, comunque di stampo scientifico, ci pregeremo di suggerire delle indicazioni, delle tracce da seguire, che ci mettano nelle condizioni di attivare quel raffinatissimo laboratorio che è la nostra coscienza, l’unico in grado di dare una risposta a questa controversa domanda.
In effetti, se esiste un modo per rendersi conto del fatto che, quello che prima ho chiamato senso comune, è in realtà un punto di vista basato sull’ignoranza di come funziona veramente la vita, questo sta solo nell’uso diverso della propria coscienza. Ossia, ci si può rendere conto di quanto l’ignoranza produca ogni tipo di sofferenza nella nostra esistenza, unicamente riconsiderando la nostra esperienza alla luce di una visione diversa, che tenga conto non solo di quello che tutti possono vedere con i propri occhi, ma anche di quello che sfugge alla considerazione dei più, ossia le vere cause della vita e del comportamento umano.
Capito poco quello che ho detto? Traduco: ogni evento ha delle cause, queste cause normalmente non sono né viste né comprese, l’unico modo per capire un po’ meglio la vita è essere disponibili a sperimentare consapevolmente all’interno di quello che ho definito il laboratorio della nostra coscienza... Solo questa possibilità ci mette al riparo dalla ‘sfiga’. Meglio? Questo in pratica significa essersi fatti delle domande sui grandi perché della vita, del tipo perché esisto, da dove vengo, dove vado, casa facciamo stasera e perché devo pagare l’affitto se la casa dove abito è mia etc.
In questo campo le risposte teoriche non bastano. Razionalmente si può dimostrare tutto o il contrario di tutto, per fede devozionale l’uomo può credere alle più grosse baggianate in grado di appagare il suo ego, così come agire nel modo più santo possibile. Sono convinto che comprendere i moventi della vita, per poterne cambiare gli effetti, superando così la necessità del dolore e della sofferenza, sia possibile solo quando è veramente possibile interrogarsi sui perché dell’esistenza. Il desiderio di comprendere motiva la volontà di sperimentare, e l’esperienza consapevole produce quella trasformazione della coscienza che affranca l’uomo dall’automatismo della vita, rendendolo libero, santo o illuminato a seconda delle varie tradizioni.
Tutto questo è indimostrabile a priori. Possiamo forse fidarci dell’esperienza di tutti coloro che, a varie latitudini, affermano di avere sperimentato stati di libertà interiore ed esteriore dovuti all’intensa consapevolezza, ma di sicuro questa fede non ci farà sperimentare la beatitudine di qualcun altro, così come il racconto della torta di mele che ho mangiato ieri non ve la potrà far assaporare. L’unica cosa che possiamo veramente fare, se ne abbiamo la voglia, la possibilità e se ci sentiamo misteriosamente in sintonia con coloro che nella storia hanno esotericamente affermato questa possibilità di trasformazione, è di mettere in gioco la nostra vita, facendola divenire il campo di battaglia citato nella Bhagavad Gita, assumendo su di noi il giogo dell’insegnamento del Cristo, disponendoci al solve et coagula alchemico, percorrendo il sentiero disegnato dall’albero della vita etc etc.
Andando in questa direzione scopriremo che c’è molto più da fare che da dire, e cercheremo gli strumenti adeguati in grado di sostenerci sul sentiero della trasformazione. Meditazione, preghiera, attenzione al proprio comportamento divengono allora i prerequisiti necessari, il cibo quotidiano di coloro che vogliono comprendere il senso della vita, perché non di solo pane vive l’uomo. Essere liberi significa essere completamente e consapevolmente responsabili di ogni proprio pensiero, parola, opera od omissione.
In un modo apparentemente misterioso, quindi, queste pratiche universalmente denominate di purificazione producono intense modificazioni nella coscienza umana. (Se può servire, ciò è anche convalidato da decenni di lavoro, se così si può dire, che ho svolto con la coscienza degli esseri di questo pianeta). L’esperienza inizia a divenire conoscenza, e ciò che è teorizzato nei testi esoterici, altrimenti indimostrabile scientificamente, inizia a divenire una pratica quotidiana. L’anatomia e la fisiologia occulta dell’uomo, e della vita in genere, si svelano progressivamente, vari piani di esistenza e varie dimensioni cominciano a mostrare la loro realtà e integrazione, gli effetti iniziano finalmente ad essere compresi per le loro cause.
L’uomo può finalmente mangiare i frutti dell’Albero che sta in mezzo al Giardino, senza che gli diano lo sfratto.
Passo dopo passo sul Sentiero dell’Iniziazione ai Misteri della Vita il Figlio dell’Uomo si mostra nella nostra coscienza. Il Verbo si fa carne e il Regno dei Cieli, che è in noi e fuori di noi, dischiude i suoi cancelli, come una novella Gerusalemme Celeste, che cala sulla Terra ogni volta che un essere umano ascende alle vette dell’amore per il prossimo e dell’innocuità. Detto con parole meno auliche, l’uomo infine dà un senso alla sua vita che lo mette in sintonia con il senso della vita stessa; la sofferenza viene compresa come effetto necessario di esperienze necessarie all’evoluzione umana e alla fine viene superata, alla faccia della sfiga. Tutto questo, che mi crediate oppure no, non avviene per caso.